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Dal seme alla tazzina
Dentro il caffè
Sapevate che...
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Per saperne di più

S. Garattini – Editor: Caffeine,
Coffee and Health
Monographs of the Mario Negri
Institute for Pharmacological
Research

B. S. Gupta & U.Gupta: Caffeine
and Behavior - Current Views and
Research Trends   

G. Derby: Coffee and Health  

M.N. Clifford, K.C. Willson: Coffee,
Botany, Biochemistry and
Production of Beans   

Clarke and Macrae
Vol. 1, Coffee Chemistry
Vol. 2, Coffee Technology
Vol. 3, Coffee Physiology
Vol. 4, Coffee Agronomy
Vol. 5, Related Beverages
Vol. 6, Commercial and Techno-
Legal Aspects

A. Bazzi, A. D’Amicis: Caffè,
Caffeina & Salute

Gene A Spiller: Caffeine   

Ian Bersten: Coffee, Sex & Health

Bennet Weinberg & Bonnie
Bealer: The World of Caffeine -
The Science and Culture of the
Worlds Most
Popular Drug  

R. J. Clarke & O G Vitzhum: Coffee
- Recent Development

Ivon Flament: Coffee Flavour
Chemistry

Bennet A. Weinberg & Bonnie K
Bealer: Caffeina

Fo.S.A.N.: De Coffea News –
Gruppo di Studio sul Caffè.
Collezione Notiziario 1991-2002

Preparazione...
i molti modi per bere caffè
Dicono che il caffè migliore sia quello preparato con le proprie mani.
E’ vero? Forse. Certo è che stabilire quale metodo si usi è
importantissimo perché ne esistono tanti ed è solo una questione di
gusti. Vediamone qualcuno.

Alla Turca
Bisogna corredarsi di un “ibrick” (un contenitore piccolino in ottone,
con un solo manico , la cui imboccatura è più stretta della base). Nel
nostro ibrick porremo per primo lo zucchero necessario e poi
aggiungeremo l’acqua portandola a ebollizione a fuoco basso.
Toglieremo il nostro ibrick dal fuoco e aggiungeremo il caffè
macinato finissimo. Tutto andrà rimesso a bollire. Quando il liquido si
presenterà schiumoso si toglierà l’ibrick dal fuoco e si rimescolerà. L’
operazione ripetuta almeno altre due volte vede al termine l’
aggiunta di un cucchiaino di acqua fredda per accelerare la
deposizione dei fondi.

A infusione
E’ il più antico e il più semplice dei metodi utilizzati nel mondo
Occidentale. Adottato per la   prima volta in Francia nel 1771,
consiste nello scaldare con una parte dell’acqua portata ad
ebollizione un bricco corredato di coperchio. Il bricco così scaldato
viene svuotato dell’acqua utilizzata e riempito con la giusta dose di
caffè macinato.  Quindi si  aggiunge l’acqua precedentemente
portata ad ebollizione (che avevamo conservato). Il periodo di
infusione è di circa 3-5 minuti. Prima di bere il nostro caffè va filtrato
con un colino direttamente nella tazza.

Filtro
Bisogna corredarsi di una brocca, di un portafiltro e di sacchetti filtro
in carta o stoffa.  La brocca va scaldata e il portafiltro – all’interno
del quale si sarà posizionato il filtro in carta o stoffa - va posto all’
imboccatura della brocca. Nella carta da filtro metteremo il caffè
macinato necessario (la macinatura migliore è la medio-fine). Sopra
il caffè verseremo l’acqua bollente e aspetteremo che tutto il liquido
passi nella brocca che infine copriremo per non perdere l’aroma della
bevanda. Il metodo descritto è quello utilizzato in Nord America
dove si impiegano dai 5 ai 6 grammi di caffè tostato chiaro per tazza
da 150 ml. Nei paesi del Nord Europa e in Francia di norma,
utilizzando un caffè dalla tostatura più scura, si utilizzano fino a 10
grammi di caffè per tazze da 150 ml.

Alla Napoletana
La caffettiera napoletana è composta da due parti separate da un
filtro a cestello. Il cestello viene riempito di caffè tostato scuro e
macinato fine. La parte inferiore della caffettiera viene riempita d’
acqua mentre quella “di servizio” viene posta sopra a chiusura di
tutto. La parte con l’acqua è a contatto con il fuoco e viene portata a
temperatura di ebollizione. Infine la caffettiera napoletana si toglie
dal fuoco e si capovolge velocemente per permettere all’acqua calda
di filtrare nel cestello, attraversi la polvere di caffè – estraendone
aroma, gusto, profumo - e si raccolga nel contenitore inferiore,
quello di servizio appunto, con il nostro caffè pronto al consumo.

Con la Moka
La caffettiera Moka è composta da tre parti collegate fra loro: una
caldaia nella quale si porta l’acqua a ebollizione, il filtro metallico
nel quale si pone la polvere di caffè, un contenitore superiore nel
quale il caffè risale per poi essere servito. L’acqua passa attraverso il
caffè grazie alla pressione fornita dal vapore. Il tempo di contatto
tra caffè e acqua è di circa 1 minuto. Ne risulta una bevanda dal
gusto deciso, di media corposità e dall’aroma intenso. Di norma ci
vogliono 6 grammi di polvere di caffè a tostatura media o scura per
ottenere una tazzina di 40-50 ml.

L’espresso all’Italiana….un mito mondiale
Il metodo pare sia stato escogitato da un napoletano che,
considerando eccessivo il tempo di preparazione della sua caffettiera
casalinga, se ne fece costruire una personale da un ingegnere
milanese. In realtà sembra che la prima macchina espresso sia stata
presentata nel 1855 all’Esposizione Universale di Parigi e la prima
realizzata a scopo commerciale fu quella di Bezzera del 1901. Il
modello che di norma vediamo nei bar fu inventato da Achille Gaggia
nel 1946. La bevanda che si ottiene è assai concentrata, dall’aroma
intenso e cremosa. Si utilizza acqua demineralizzata portata a 90-94°
C a pressione elevata. Il tempo di contatto fra acqua e caffè varia dai
15 ai 30 secondi. Per una tazzina da 25-35 ml si utilizzano dai 6 ai 7
grammi di caffè.

Il caffè solubile o istantaneo
Il caffè solubile può essere preparato con un processo denominato
spray-drying o con la liofilizzazione. Per semplificare si tratta di un
estratto di caffè dal quale poi verrà tolta l’acqua per evaporazione.  
Nella liofilizzazione l’estratto viene concentrato e poi congelato a –
40 °C e, successivamente frantumato in granuli della dimensione
desiderata. La preparazione del caffè solubile è assai semplice: è
sufficiente scioglierlo in acqua bollente. Le dosi? Di norma per una
tazzina bastano quantità fra 1,5 e 2 g di caffè solubile, mentre per
preparare una tazza da 150-190 ml (una tazza da cappuccino) si
possono utilizzare fino a 3 g di caffè solubile, secondo i propri gusti

Una piccola….grande invenzione
Da alcuni anni vi è stata nel mondo del caffè una piccola rivoluzione:
è la cosiddetta “cialda” o “capsula”, normalmente indicata con il
termine anglosassone “pod system”.
Si tratta di una confezione di caffè, formato monodose, pronta al
consumo. Tale innovazione permette di facilitare l’uso della
macchina da caffè espresso, sia essa professionale o domestica.
Il caffè tostato viene macinato tenendo sotto controllo il grado di
umidità e immediatamente dopo viene imprigionato, nella giusta
dose per espressi singoli o doppi, in un filtro di carta o in una capsula
di plastica.
Il filtro – o la capsula – vengono a loro volta sigillati in una busta ad
atmosfera controllata per conservare nel tempo il giusto grado di
umidità e l’aroma del prodotto.
Al momento della preparazione dell’espresso sarà sufficiente aprire
la busta e inserire la cialda o la capsula nell’apposito spazio della
macchina da caffè. Nella tazzina scenderà un espresso di corpo
consistente e d’aroma e profumo ottimi. Ciò perché la dose del caffè,
la macinatura e la pressatura, saranno ottimali e simili a quelle che
solo un barista di grande professionalità è in grado di ottenere.
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Dove si produce
Il caffè non si coltiva dappertutto. Infatti la produzione di caffè è
concentrata essenzialmente nelle aree comprese tra il tropico del
Cancro e il tropico del Capricorno. In un clima quindi caldo umido.
Viaggiare attraverso una mappa della terra e addentrarsi nello studio
dei Paesi dove il caffè nasce può rappresentare uno stimolo a
conoscere luoghi e culture diverse dalle proprie e diverse fra esse.

Cosa lega Paesi tanto lontani fra loro, come il Brasile, la Colombia, l’
Etiopia, il Messico, alcuni paesi dell’Africa, fino al Vietnam?

Un prodotto della natura, il caffè, quale unico denominatore che per
razze e popolazioni differenti rappresenta una risorsa economica di
primaria importanza. Spesso un’occasione di sopravvivenza.

Il caffè Arabica “lavato” rappresenta il 32,5% della produzione
mondiale e viene prodotto in America Centrale (Messico, Guatemala,
Honduras, Costarica, El Salvador, Nicaragua), nel settentrione del Sud
America (Colombia, Perù, Ecuador), in Africa (Camerun, Tanzania,
Kenia),  in India ed in Papuasia Nuova Guinea.
Il caffè Arabica “naturale” rappresenta, viceversa, il 34% della
produzione mondiale e lo si trova in Brasile ed Etiopia. Il caffè
Robusta infine rappresenta il 33,5% della produzione mondiale ed è
prodotto prevalentemente in Africa (Costa D’Avorio, Uganda, Congo D.
R.), in Vietnam, in Indonesia  e in Brasile.

Come si produce

Il caffè appartiene alla famiglia delle Rubiacee e al genere Coffea al
quale appartengono più di 80 specie. Quelle importanti dal punto di
vista commerciale sono due: Coffea arabica e Coffea canephora che in
termini più comuni sono tradotte in Arabica e Robusta. Se cresce
spontaneamente, la pianta può raggiungere anche i 10 metri di
altezza ma nelle coltivazioni viene portata ad un massimo di 3 metri
per facilitare la raccolta dei frutti. La semina viene effettuata
utilizzando chicchi selezionati che dopo 6-8 settimane producono un
esile peduncolo con in testa il seme. Dopo solo un anno le piantine del
caffè raggiungono già i 35 centimetri di altezza e vengono trapiantate
a “dimora fissa” ovvero nelle piantagioni vere e proprie. In 3-4 anni le
foglie, di consistenza dura e di color verde lucente, raggiungono una
lunghezza che va dai 6 ai 20 cm. e una larghezza di 1-6 cm. Solo dopo
la prima fioritura, che può avvenire una o due volte l’anno a seconda
delle condizioni climatiche e del terreno,  ha inizio il ciclo riproduttivo.
I fiori sono bianchi, a gruppi di due o tre e hanno un profumo intenso
simile al gelsomino. Il frutto che ne deriva, detto ciliegia, è una drupa
ovale che maturando da verde diviene rossa. La drupa è costituita da
una pellicola esterna, l’esocarpo, che racchiude la polpa, il mesocarpo.
La polpa racchiude di norma due semi (raramente uno o  tre) rivestiti
da un sottilissimo tegumento chiamato “pellicola argentea” o
perispermio e, più esternamente sono avvolti dal “pergamino”. Il
pergamino, una pellicola di colore giallo dorato, costituisce l’
endocarpo del frutto.
La specie Coffea arabica, che rappresenta un po’ meno dei ¾ della
produzione mondiale, viene coltivata in numerose varietà e origina
dagli altopiani etiopici. Assai pregiata, la specie Arabica dà un caffè
ricco di aroma. La specie Coffea canephora, ha meno varietà della
precedente e la più nota è proprio la  Robusta. La varietà Robusta,
rispetto alla Arabica, tollera temperature climatiche più alte, piogge
abbondanti ed è più resistente alle malattie (attacchi di parassiti e
varie patologie). Dalla varietà Robusta si ottiene un caffè più corposo
e più forte rispetto alla Arabica e, mentre il chicco della arabica è
verde o verde-azzurro e di forma ovale, quello della Robusta è più
tondo e di colore giallo o giallo-marrone.
TUTTA UNA QUESTIONE DI ALTITUDINE
Differenze tra Coffea Arabica e Coffea Robusta
  Arabica
Robusta
Anno di descrizione  
1753
1895
Tempo di maturazione delle
drupe
9 mesi
10-11 mesi
Caduta delle drupe
facile
Meno facile
Produzione pianta/anno
400-2000 grammi di
chicchi
600-2000 grammi di
chicchi
Radici (dipende dalla varietà)
30/45 centimetri
45 centimetri circa
Temperatura ottimale
17-23°C
18-27 °C
Altitudine ottimale  
700-1700 metri  
200-800 metri
Contenuto in caffeina
0,8-1,4%
1,7-4,0%
Contenuto medio in caffeina
1,2%  
2,0%
 

Lavorazione
Sicuramente il caffè è il seme più amorevolmente coccolato rispetto a
qualunque altro prodotto alimentare/agricolo. La sua strada prima di
giungere ai nostri palati è assai lunga ed inizia dal raccolto che varia
in rapporto alla situazione geografica e alle condizioni climatiche. Se
ad esempio in Brasile viene raccolto tra aprile e giugno, in Centro
America si raccoglie da ottobre ad aprile e in Africa tra marzo e
settembre. Come abbiamo visto la resa è differente per le due varietà
e il rendimento massimo della pianta si ottiene tra il 6° e il 10° anno
di vita, vedendolo diminuire verso il 15° ed estinguere al 40° anno. La
raccolta può essere manuale o con appositi macchinari a palette
vibranti. I semi dovranno quindi essere estratti dal frutto
velocemente con l’utilizzo di due metodi: il primo a umido che
produce caffè cosiddetti lavati e il secondo detto a secco che produce
caffè cosiddetti naturali.
Il primo metodo, quello dei caffè “lavati”, è stato messo a punto dagli
olandesi nel 1740 e prevede diverse fasi: pulizia dei frutti, spolpatura,
fermentazione, lavaggio, essiccazione, sbucciatura. Di norma a tale
metodo viene sottoposta la specie Arabica con l’eccezione del caffè
Brasiliano che – viceversa – viene sottoposto al secondo
procedimento (quello naturale).
Il secondo metodo, quello a secco che produce i caffè cosiddetti
“naturali”, è antichissimo e viene utilizzato tutt’ora nei paesi a clima
secco. Le drupe sono stese ad asciugare all’aria aperta per circa 20
giorni (che diminuiscono a 2 o 3 giorni se si utilizzano camere di
essiccamento). Le drupe essiccate passano alla decorticazione in
macchine sgusciatrici che liberano i semi.
Qualunque sia il metodo prescelto per estrarre i chicchi, il caffè,
successivamente, viene setacciato per mezzo di crivelli a differente
diametro per selezionare la grossezza del chicco. La classificazione
infine avviene seguendo vari criteri tra cui: provenienza, specie,
annata di produzione, altitudine, resa alla torrefazione, degustazione
della bevanda.
Infine il caffè è pronto per la tostatura che conferisce colori in
gradazioni diverse. Il colore base è quello chiamato a “tonaca di
frate”. Nel nord Europa e nel nord America vengono preferite
tostature più chiare rispetto al colore bruno del caffè che consumiamo
in Italia mentre nei paesi africani e mediorientali la tostatura ha un
colorito più intenso.

La torrefazione...
come dire “il colore del gusto”
L’operazione della tostatura permette al chicco di liberarsi di alcune
caratteristiche e di acquisirne altre. I tipi più diffusi di tostatura sono
quello “blando”, detto anche all’americana, che conferisce ai chicchi
un colore marrone, quello “spinto”, detto anche all’italiana, che dà ai
chicchi un colorito bruno, infine, una tostatura dal colorito più intenso
che riporta ai paesi africani e mediorientali   dove è d’uso il famoso
caffè alla turca.
La differenza del colore dipende dalle condizioni di tostatura
adottate. Nel corso di tale processo, che implica l’impiego di
temperature fino ai 230°C, le componenti del caffè subiscono delle
trasformazioni chimiche. Ad esempio il cambiamento di colore è
determinato dalla caramellizzazione degli zuccheri, unitamente alla
quale ha luogo la formazione dei composti volatili a cui si deve il
particolare aroma del caffè tostato.

Durante la tostatura si verificano modificazioni nella composizione del
caffè non appariscenti sul piano quantitativo ma importanti su quello
qualitativo: la tostatura, infatti, è un processo assai più complesso di
quanto possa sembrare a prima vista. Il grado e il tempo ottimali di
torrefazione sono preventivamente stabiliti su campioni di caffè
attraverso l’aiuto di speciali colorimetri, e regolati mediante l’utilizzo  
di schede computerizzate.
L’esposizione all’aria del caffè torrefatto fa si che il prodotto vada
incontro a facili alterazioni, con perdita della freschezza e
irrancidimento.
Per evitare l’inconveniente sono stati messi a punto metodi di
confezionamento efficienti che impiegano oltre che materiali speciali
da imballaggio anche il sottovuoto oppure il condizionamento –
sottopressione – in atmosfera inerte.

Le miscele…
”l’insieme tutto da gustare”
Sono molti e differenti i fattori che concorrono a determinare la bontà
finale del caffè:è necessario infatti trovare la corretta combinazione,
tra miscela, e macinazione, che deve essere ottimale a seconda delle
caratteristiche della macchina che andrà a produrre la tanto
desiderata tazzina di caffè.
La miscela ideale gioca su due elementi: la composizione e il grado di
tostatura. A detta degli esperti, le migliori miscele sono quelle che
risultano dalla mescolanza di tre, quattro o anche più tipi di caffè
provenienti da zone  diverse o di tipo diverso, perché le loro
caratteristiche si integrano, si equilibrano e si ottimizzano a vicenda.
Le miscele composte da Arabica di diversa provenienza sono più dolci
e più aromatiche; quelle composte da Arabica e Robusta sono,
viceversa, più corpose e di gusto decisamente più forte. Il mercato
offre una vasta scelta di miscele già pronte dal gusto tutto differente
che spazia fra vellutato, addolcito, fine, completo, fragrante,
profumato, corposo,  pastoso, persistente, e così via per poter
soddisfare le esigenze di tutti i consumatori anche in diversi momenti
della giornata.

Macinazione...
un chicco ridotto in polvere
Il nostro chicco, ben tostato e ormai miscelato, è pronto per essere
“ridotto in polvere” e preparato sottoforma di bevanda. La polvere
che si ottiene dalla macinatura del caffè è differente a seconda della
origine del caffè stesso. Può essere curioso infatti osservare al
microscopio i grani macinati e scoprire da quale caffè originano: la
loro struttura è quasi come un marchio e potrà essere diversa da
grano a grano così come differenti sono i cristalli dei fiocchi di neve.
Questa prerogativa fa sì che si ponga grande attenzione alle miscele
non solo per ottenere un gusto particolare e non omologato ma per
evitare un caffè troppo compatto (che non lascia scorrere nel modo
giusto l’acqua) piuttosto che troppo lasso (che lascia scorrere l’acqua
in modo eccessivamente veloce). La macinazione è necessaria in
funzione della caffettiera che verrà utilizzata.  Ad esempio una
macinazione medio-fine sarà la migliore per le caffettiere moka, più
fine, viceversa, sarà l’ideale per le classiche macchine espresso.
Sicuramente una macinazione troppo grossa non consentirà di
trasmettere un gusto completo e una eccessivamente fine, per effetto
della resistenza offerta dall’acqua, determinerà un aumento eccessivo
della temperatura e di conseguenza il “gusto di bruciato”.

Conservazione...
per un gusto inalterato nel tempo
Il caffè, opportunamente macinato, infine andrà preservato
correttamente perché l’usura del tempo è uno dei nemici più infidi del
nostro amato prodotto.  Anche i prodotti migliori perdono infatti la
loro fragranza e deperiscono facilmente. Nel caffè si determina l’
irrancidimento dell’olio di caffè e la perdita e alterazione nella
composizione dei costituenti volatili dell’aroma.
La principale causa dell’alterazione del caffè è rappresentata dall’
ossidazione diretta, per azione dell’ossigeno dell’aria, o dall’
ossidazione indiretta, per azione dei perossidi che si formano in
conseguenza dell’ossidazione dell’olio di caffè. Il caffè macinato si
deteriora più facilmente perché la superficie a contatto con l’aria è
più estesa. Si consiglia quindi di mantenere il caffè macinato in
contenitori chiusi, ben pressato (per diminuire la superficie esposta all’
aria) e, magari, riporlo anche in frigorifero alfine di evitare l’
accelerazione di alcune reazioni ossidative favorite dal calore.
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